Juno Calypso
Juno Calypso è il nome cult nel panorama fotografico internazionale per gli amanti di un’estetica pop-pink che richiama gli anni Sessanta e Ottanta. Nata a Londra nel 1989, è un’artista che lavora con la fotografia, il cinema e le installazioni. Nel 2008 ha conseguito un diploma in Art Foundation al Chelsea College of Arts e una laurea in fotografia al London College of Communication nel 2012.
Joyce
Ed è proprio mentre studiava fotografia al London College of Communication, che iniziò a fotografare se stessa nelle vesti di un personaggio fittizio, una sorta di alter ego, di nome Joyce, una “casalinga annoiata, frustrata e sola nella sua immaginazione“, in ambienti sconosciuti, insoliti ed esagerati.
Si tratta di una donna contemporanea, ma calcolatamente démodé e in atteggiamenti sospesi tra la noia e l’esaurimento nervoso, il cui nome Joyce risulta sicuramente essere in contrasto rispetto alle situazioni di cui è protagonista improntate ben poco sulla joy, ma più sulla perplexity del vivere.
“È successo quasi per caso, ho sempre scattato delle fotografie a me stessa in privato e sperimentato con dei personaggi, ma non le consideravo opere d’arte serie. Non volevo mostrare queste immagini a nessuno, poi un giorno alla scuola d’arte che frequentavo non avevo nulla di nuovo da mostrare all’insegnate ed erano molto severi su questo. Così, a malincuore, mostrai alcuni di questi autoritratti e lei li amò. Mi disse subito di smettere di usare i modelli e di usare solo me stessa. Tutti nella mia classe trovarono questo personaggio molto divertente e vollerro sapere il suo nome, quindi la chiamai Joyce” rivela la giovane artista.
Dopo le prime discrete apparizioni, infatti, la simbiosi Juno/Joyce esplode più compiutamente nel 2012 in un’immagine costruita con attenzione spettacolare, dal titolo “Popcorn Venus”. In questa foto sbuca una bionda da una grande torta di panna, al centro di un set ricolmo di ghiottonerie varie coloratissime. Ma la sua espressione, un sorriso forzato rovinato da incisivi troppo grandi ed uno sguardo reso opaco da un’enorme montatura di occhiali, suggerisce un entusiasmo personale ben inferiore alle aspettative di qualunque ipotetico festeggiato. L’autrice/interprete, che si rivela da subito una persona di spirito, racconta di essersi ispirata a un ilare momento casalingo della Famiglia Addams, in cui la torta con dentro la spogliarellista veniva messa a cuocere in forno.
Successivamente, Juno ha portato il suo personaggio immaginario in un romantico hotel a tema in America. In veste di scrittrice di viaggi, ha ottenuto l’accesso a più sale che ha usato per mettere in scena la sua serie di autoritratti solitari, intitolata, appunto, “Joyce“. In questa occasione Juno ha dato vita ad un lavoro che riguarda gli “elementi oppressivi della femminilità“, i suoi “regimi di bellezza restrittivi e i moderni riti di seduzione“. Come la stessa fotografa ha specificato, il suo intento era quello di catturare l’immagine di una donna che cerca di creare una visione perfetta di se stessa.
Nei panni di Joyce, la giovane fotografa inglese, mette in scena la solitudine di chi si dedica a cure estetiche e ormonali che mascherano e sviliscono subdolamente la femminilità.
“Trovo l’estetica affascinante. Sembra fantascienza, ma tutto è reale e preso sul serio, è divertente! Penso che l’industria della bellezza possa essere molto condiscendente e ingannevole. La donna contemporanea è molto intelligente e ironica, ma vive in una società che dice che dovremmo essere terrorizzati dall’essere poco attraenti o vecchi” aggiunge l’artista.
The Honeymoon
Nel 2015 la giovane fotografa è andata negli States in un hotel per lune di miele (e coppie in crisi), il Penn Hills Resort in Pennsylvania, un posto paradossale che sembra uscito da Twin Peaks. Lì dentro, occupando in solitaria una kitschissima suite rosa confetto, con una vasca a forma di cuore circondata di specchi, si fotografa come Joyce, stavolta in viaggio di nozze autogamo, per la serie “The Honeymoon“.
E addirittura, in “A Dream in Green“, sorge dalle acque della jacuzzi cuoriforme come una novella Venere botticelliana, ma stavolta tutta verde, ricoperta di un velo di fango d’alga che la fa sembrare un’aliena: “Così vengo percepita come un personaggio fantascientifico, e ne sono contenta, perché la fantascienza mi piace per i suoi sotto-testi politici ma soprattutto perché è fantasia. Adesso mi arrivano un sacco di messaggi dai fan di Star Trek”.
Studiare la solitudine, il desiderio e la femminilità attraverso una lente dark comedy è il fine di questa serie che è stata la vincitrice del prestigioso Photography Awards 2016, il premio di fotogiornalismo più ambito al mondo indetto dal British Journal of Photography,
Nell Frizzell ha scritto a proposito su The Guardian che “c’è un senso di claustrofobia senz’aria su gran parte del lavoro di Calypso, ma nelle foto di Honeymoon Hotel, questa frustrazione è gemellata dalla solitudine“. Alexandra Genova, invece, ha scritto su Time che il suo “lavoro è una danza delicata tra commedia e disperazione“.
Nel sito web dell’artista si legge: “facevo foto di Joyce per muovere una critica alla laboriosa costruzione della femminilità, ma adesso sto iniziando a vedere che il problema non sono il make-up e gli strani aggeggi per la cura del corpo, quanto il modo in cui la società tratta le donne che investono tanto nel loro aspetto esteriore”.
Una fluente parrucca rossa, lingerie anni Cinquanta, vestaglie rigorosamente rosa, elettrostimolatori, fanghi, cosmetici e maschere di bellezza negano alla nostra vista il volto e il corpo della protagonista immersa in vasche a forma di cuore, adagiata su soffici letti o su moquette oramai fuori moda.
La Calypso solletica il voyeurismo e mostra la protagonista tra la biancheria in saldo e le maschere di gomma per rassodare il viso stanco. L’eroina di Juno Calypso pare essere ostaggio di una casa delle bambole che la fa assomigliare a una pin up sull’orlo di una crisi di nervi, che tanto deve a Cindy Sherman.
Ispirata dalla fotografia “costruita” di Jeff Wall, Juno Calypso è, però, diversa dalle auto-messinscene critiche delle più anziane Cindy Sherman e Gillian Wearing, dirigendo e interpretando un’iperfemminile commedia sarcastica in modi più contemporanei e spettacolari. Il suo autoerotismo caramellato è espressione di un molto consapevole e allegramente malinconico narcisismo post-femminista.
L’atteggiamento obliquamente femminista dell’artista, non di rado contestatole come tale, si presenta provvisto di black humor anche in seguito, con l’aggravante di un certo atteggiamento critico non solo nei confronti della società anti-femminile, ma delle stesse femmine spesso ignave succubi della pressione sociale che le vuole adeguate a determinati standard fisici e psicologici.
What to do with a Million years
Con il suo ultimo progetto “What to do with a Million Years” (2018), in mostra lo scorso autunno presso la galleria Studio Visconti all’interno dello storico Palazzo Cicogna Mozzoni a Milano, ci spostiamo a Las Vegas, dove ancora oggi si trova un bunker costruito nel pieno del terrore nucleare alla fine degli anni Sessanta. Una vera e propria villa sotterranea creata da un ricco imprenditore di cosmetici, progettata per essere vissuta quotidianamente; con ogni comfort, dalla piscina alla vasca idromassaggio, dalla stanza per gli ospiti alla sala da ballo.
“Una via di mezzo tra una tomba e un mausoleo, dove tutto è silenzioso e immobile. Una sorta di capsula del tempo.”, lo ha definito l’artista. Ma a rendere tutto più misterioso è stato per Juno scoprire che l’attuale proprietà del bunker è di una società interessata alla crionica, la scienza che iberna i corpi in azoto liquido.
Si può, quindi, dire che sarcasmo e ironia vengono usati per affrontare i pregiudizi legati alla donna contemporanea, collocata in ambientazioni surreali tra cui, appunto, un motel americano per coppie in crisi e una villa-bunker a Las Vegas. I flash fotografici mostrano solo apparentemente un’atmosfera pink e caramellosa, ma che, in realtà, rivelano un approccio critico, dettato dal narcisismo e e dal black humor.
Infatti, in comune queste opere hanno come protagonista il suo alter-ego, Joyce, una casalinga sola e repressa alla ricerca spasmodica della bellezza. Sono immagini ironiche in ambientazioni insolite e surreali, il tutto corredato da un’estetica pink e caramellosa, che non può non colpire lo spettatore. I suoi autoritratti sono opere personali sul femminismo, l’isolamento, la solitudine e l’autosufficienza.
Links
https://www.junocalypso.com/about
https://www.artribune.com/arti-visive/fotografia/2017/06/juno-calypso-ritratti-donne/